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Visualizzazione dei post da febbraio, 2015

Quelli come me (omaggio ad Alda Merini)

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Quelli come me si viaggiano dentro, a piedi, per non perdersi i passaggi desolati (molti) e le radure verdi (poche). Quelli come me ti leggono d'un fiato e poi ci tornano sopra, a leggerti, per coglierti le sfumature. Quelli come me sanno ridere. Ma lo fanno con parsimonia. Perché non va sprecata la felicità. Quelli come me sanno anche stare soli, perché i fantasmi che abbiamo dentro, se li ignori, iniziano a fare paura davvero. Quelli come me sentono la vita sulla pelle, tutta. E ne portano le cicatrici; senza fierezza ma neppure vergogna. Quelli come me cercano l'amore nelle parole dette e in quelle scritte, nelle persone, nei fiori, in un cagnolino, nei silenzi. Quelli come me spesso si odiano ma quando si amano è di un amore profondo, come un abisso. Quelli come me sanno ascoltare ma soprattutto sanno tacere. Quelli come me non giudicano. Perché il giudizio non ce l'hanno gli uomini, né le donne. Quelli come me provano tristezze complicate e gioie semplici.  Quelli come

La serranda chiusa

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Fotografare serrande chiuse. Una nuova forma d'arte? Una sorta di voyeurismo sconnesso e insensato? No. Il fatto è che poco tempo fa lì dove adesso c'è una serranda chiusa, aveva aperto una piccola libreria. Nulla di imponente, sia chiaro, ma una libreria. "Che coraggio che hanno avuto, questi ragazzi ad aprire una libreria!" Siamo nel paese dove si legge meno e questi che fanno? Aprono una libreria. Beh. Ci sono entrato. Pochi libri, erano all'inizio. Loro molto cordiali. Ci ho comprato un volume di racconti dispersi di Kafka e un segnalibro. Pagato con bancomat e sono uscito. Accanto c'era un bar (quello c'è ancora). Mi sono seduto a leggere e ho preso un caffè. Nel frattempo guardavo quella vetrina. E a un certo punto ho un po' pregato. Non quel tipo di preghiera come l'Ave Maria ecc. Ho pregato che ce la facesse. Che riuscisse a sopravvivere. Una volta a settimana ci passavo davanti con la macchina. Era aperta. Viveva ancora. Giorni fa sono pas

Rughe

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Annamaria ci passa davanti e cerca di non fermarsi a guardare. Non può, non riesce.  Sono passati quasi quarant'anni ma sembrano cento. Eppure è lei. Era lei. Torna indietro di qualche passo. Marcello, il libraio, non ha voluto toglierlo quel poster.  Lo ha fatto per lei, ma Annamaria non lo sa. Per costringerla a ricordare, ogni volta che lo vede. Una vendetta che è la spina di una rosa rossa. L'amava, lui, di un amore semplice e complicato.  Gli anni appannano il cuore come l'umidità sul parabrezza di una macchina. Lui ha i suoi libri adesso. Loro soltanto. Annamaria si tocca il viso. Come se la ruggine di quelle grate ce l'avesse addosso. E quelle grate, quella ruggine e quelle rughe intrappolano lei quando era al suo massimo splendore. Fece più di cinquanta repliche. E ogni volta era un mazzo di fiori. Lei, l'attrice principale. Più bella di Ofelia. La scena del bacio Marcello non la vedeva mai. Si tappava gli occhi e poi li riapriva. Era stato a tutte le replic

Muri

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Carezze di Te, che scavalcano muri di Me che si sbriciolano, sotto due occhi, che guardano. Torno me stesso, se scrivo i miei versi, sul viso di seta, che sei.

Contessa Lara (la poetessa che morì d'amore

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Voce tra le più ispirate della seconda metà dell’ottocento letterario italiano, Contessa Lara, pseudonimo di Evelina Cattermole, ne incarna per intere le virtù e le debolezze. La sua opera, seppur esile e la sua vita, che più d’ogni parola scritta , ne espresse il lucido intento, sono spesso incredibilmente trascurate e la “bimba dalla chioma bionda / strana e poeta”, come si autodefinì , resta sovente esclusa dalle citazioni. Neoromantica fin dall’adolescenza trovò ispirante accompagnare dei fiori donati alla madre con la sua prima raccolta di versi, Canti e ghirlande (1867), idea che, da sola, sarebbe oggi nel novero delle più “alte” dell’intero cerchio del decadentismo. “Mi sussurrò - domani. Ed io: - Domani / M’avrai ne le tue braccia a l’istessa ora; / Fra i tuoi capelli passerò le mani, / tu, sognando, dirai che m’ami ancòra. – “ (cfr. Aspettando). Anni dopo ci furono i salotti, le corrispondenze e la mondanità che la portarono fino al matrimonio col tenente aristocratico Eugenio

Erotica/ortografia

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Un sopracciglio dentro un punto e virgola. Il bianco riflesso dei seni dietro le parentesi. Bianche. La sintassi somiglia a un  letto. Tondo. Ad acqua. E due verbi coniugati al congiuntivo imperfetto diventano desiderio. Se io potessi Se tu volessi Spazio Spazio Spazio

Preghiera

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Notte scendi piano stavolta  Sii clemente e lieve con lei  Dolcemente avvolgila. Ascoltala piangere se puoi, avvicinati. Ti do i miei occhi per guardarla.  Comprenderai... Ti innamorerai della leggera brezza tra i suoi respiri.

Fare poesia

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Fare poesia è scavare. Fino a quando non trovi la tua acqua personale. Fino a quando le mani non ti sanguinano. Fare poesia è usare quell'acqua e quel sangue come fossero creta. E modellare parole.  Fare poesia è fermare gli istanti. Renderli eterni abbastanza da comporli in un mosaico perfetto. Colorarli poi di rosso coi sorrisi o nero con la rabbia. Fare poesia è non temere le proprie lacrime. Diventarne amico e lasciarle splendere sui palmi. Fare poesia è tenere in equilibrio su un dito tutte le sofferenze di una vita.  È bagnarsi del proprio inchiostro, è chiudere gli occhi e riaprirli e morire e nascere ogni volta. Fare poesia è sporcarsi di mondo. E poi lavarsi di musica. Fare poesia è celebrare tutti i brividi che ti attraversano il corpo. Quelli dolorosi. Quelli piacevoli. Quelli eccitanti. Tutti. Fare poesia è guardare la propria anima con un microscopio fatto di petali di camelia. E poi trascriverla, quell'anima, con tutto quello che c'è dentro. E non c'è modo

Desire

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Nell'impaziente cercarsi degli occhi L'intima stilla di piacere. Come un bambino che anela ai balocchi Il primo orgasmo è nel "volere"...

Incomprensione

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Pellegrina di varchi onirici, dopo tanto anelarti non avevo più mani per prendere... La mia più grande incomprensione con Dio.