Ventidue ore
Ce l'ho ancora nel portafoglio, la foto. Sono passati ventisei anni e le macerie ci sono ancora. Non nelle strade, a quelle hanno pensato. Le macerie sono dentro le persone. Appena ho potuto sono andato via, in Europa. La speranza per me ha la forma delle mani. Qualcosa che ti prende e dal basso ti porta in alto, dal buio alla luce. E c'è la fede. L'ho cercata da sempre, da bambino, poi da adolescente. L'ho cercata nei testi sacri, nei Veda, nel Buddha, nel Corano. Poi ho capito che in realtà è tutto in questa foto, che lascerò ai miei figli, e chiederò loro di lasciarla ai propri. In questa foto c'è il mistero della mia vita. Il miracolo assurdo della mia sopravvivenza. E c'è anche la fede. Perché io l'ho trovata lì, in quelle mani a coppa, in quelle persone. E allora è una religione senza libri la mia. Perché credo nelle persone. Mi chiamo Āśā, che in Hindi significa Speranza. E sono io quel bambino salvato dal terremoto.