Le affinità elettive (Goethe)



Per molti “Il” vero capolavoro di Goethe, è indubbio che il romanzo, che si colloca cronologicamente tra il Werther, del periodo giovanile, e il Faust pubblicato postumo, sia l’opera dove il grande scrittore tedesco ha operato la più lucida e razionale trasposizione di se.
Quel “sé” che Goethe aveva ritrovato nei primissimi anni del ‘900 quando, ormai sessantenne, lontano dai fervori idealistici giovanili, lontano da Weimar e dai reggenti d’Europa, si riconsegnò totalmente alla sua scrittura apportandole quel contributo di esperienze e disillusioni che negli anni aveva accumulato, ed esorcizzando ciò che più di ogni altra cosa temeva per se: la sterilità creativa

-       Ma l’arte, a questo modo, non si allontana poco a poco dall’artista quando l’opera, come un figlio provvisto della sua parte, non torni più a rivolgersi al padre? – (Cfr. W.G)

In quello stesso periodo intensificò gli studi di fisica e chimica che, “…come la calce mostra una grande simpatia per tutti gli acidi e una decisa volontà di unirsi ad essi…” (Cfr. A.E), lo spinsero a rinnegare il suo passato classico e umanistico ed accesero nella sua mente l’interesse a dimostrarne la determinante influenza sull’insondabile comportamento umano.
Lanciato così in una sorta di “crociata personale” contro le credulità ed i fatalismi (intesi come libertà dell’uomo dagli agenti naturali), finì per scontrarsi anche con la religione.
“Le affinità elettive”, fu il risultato cui il tardo Goethe pervenne, e regalò a se stesso. Un romanzo che, se guardato in controluce, rivela un’equazione; pur impreziosita da quella ricca prosa e naturale tragicità del genio di Weimar.
Lo stesso Goethe, nel presentare l’opera compiuta sul “Quotidiano per le classi colte”, affermò: 
Sembra che l’autore sia stato indotto a usare questo titolo singolare dagli studi di fisica che va proseguendo; e così, trattando un caso morale, ha voluto ricondurre un’allegoria della chimica alla sua origine spirituale […]” (Cfr. HA).
Accade quindi nelle vite del “ricco barone nel fiore degli anni” Eduard ed in quella di sua moglie Charlotte, inserite in un fedele paesaggio post-rivoluzionario, quella commistione di elementi chimici ed emozionali, che ne disfarrà inevitabilmente l’unione.
Così, come ineluttabili sono i processi nella chimica e nella fisica, altrettanto vale per le vicende umane, al punto che saranno gli stessi protagonisti (volontariamente), a metterli in moto.
Eduard, sebbene conscio delle ripercussioni sul suo matrimonio, deciderà della presenza, in apparenza evitabile, nella magione  del suo amico capitano e, con la stessa convinzione, contribuirà alla scelta fatidica di Charlotte che richiamerà a se la sua pupilla, nonché nipote, Ottilie; con lo scopo, pianificato “a tavolino”, di bilanciare la predominanza maschile nella tenuta, ed avere per se, il medesimo “grado di distrazione” che l’avvento del capitano comportava per il marito.
La situazione, valutata in maniera tanto attenta e dettagliata, sfuggirà presto, comprensibilmente, di mano; e l’intrecciò diverrà un vortice antropofago ed inarrestabile.
La Rinuncia, sarà il tema portante della seconda metà dell’opera, la stessa che porterà Charlotte a rinnegare il sentimento germogliato per il capitano, nel frattempo promosso a Maggiore, e che Ottilie identificherà come la sola azione capace di affrancare la sua anima dall’immane peccato commesso.
Rinuncia, quindi, e tragedia: la morte del figlio di Charlotte (e di Eduard), della quale la giovane pupilla si sentirà talmente responsabile da dedicare gli ultimi, e tremendi, anni di vita all’espiazione e al rimorso, e segnerà l’esistenza di Eduard,  destinato ad un amore impossibile.
Considerando l’opera nel suo insieme, emerge nettamente un cambiamento di “condotta” da parte del narratore tedesco: mentre la prima parte è spesso “frequentata” dalla sua personalità e dai suoi giudizi morali (che prendono le sembianze dei personaggi secondari come l’importantissimo Mittler), chiara sarà, al termine della vicenda quando il dramma sarà totale, la superba capacità del maestro Goethe che, pur nutrendo sincero affetto per le sue creature, se ne distaccherà emotivamente per il bene assoluto dell’obiettività.
Una obiettività tale da sconfinare quasi nel cinismo.
Ma a questo, Wolfgang Goethe, ci aveva preparati.

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