Il rifugio. Protesta o debolezza?

Periodicamente mi succede di rileggere i racconti di Edgar Allan Poe.
Questo perché la mia passione per la scrittura la devo molto al maestro di Boston che ho iniziato a leggere da piccolo.
Ora, mi è capitato oggi di sfogliare le pagine del suo racconto: La maschera della morte rossa scritto nel 1842, e leggerlo oggi mi ha portato ad una riflessione che vorrei condividere.
In sintesi nel racconto si parla di un signorotto che organizza una festa nella sua tenuta contornandosi dei suoi amici e cortigiani per sfuggire ad una mortale pestilenza. Che poi ovviamente riuscirà comunque ad entrare e contagiare tutti.
Ecco, la trovo una interessante metafora di quello che è il mio sentimento, da profondo amante della letteratura, nei confronti della società odierna anche alla luce degli ultimi fatti di cronaca e politica.
Non ne vado particolarmente fiero ed anzi è una cosa sulla quale devo ancora riflettere bene.
Tuttavia mi sento mosso da un desiderio ineluttabile di rifugiarmi nelle lettere.
Non so bene se sia una fuga o piuttosto una presa di posizione di una persona che rifiuta l'attuale stile universale di intendere la vita e la socialità.
Fatto sta che più il mio interesse si allontana da tutto ciò che è attuale, più si avvicina a ciò che è espressione individuale della creatività. Quindi non solo letteratura ma arte, musica ecc.
Alla coscienza di massa, insomma, contrappongo la mia coscienza individuale.
Non mi ritengo estremista quindi non cadrei mai nell'asocialita' o nel rifiuto totale della realtà.
Soltanto che progressivamente ne perdo interesse. La ritengo immune da ogni miglioria e, avendo cara la mia vita e la mia sanità mentale, me ne allontano.
Almeno quando riesco.


Commenti

Unknown ha detto…
mai pensiero poteva essere piu eloquente per spiegare anche il mio stato d'animo su questo argomento ...

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